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Benvenuto, benvenuta.

Questa è la mia pagina personale, una breve e, spero, semplice scheda biografica sulle mie esperienze in ambito letterario. 

Sono Luca Aiello e mi occupo principalmente di drammaturgia. Sono nato a Siracusa e a vent'anni mi sono trasferito in Emilia Romagna, a Bologna; attualmente, invece, vivo a Cento (FE).

Mi sono laureato in drammaturgia con lode, poi mi sono perfezionato col professor Luigi Gozzi, (compianto direttore artistico del Teatro delle Moline di Bologna), in seguito ho svolto un tirocinio presso l'ATER (Associazione Teatrale Emilia Romagna) e ho seguito importanti laboratori  (Teatro Testoni con Valeria Frabetti, Teatro di Pisa con José Sanchis Sinisterra...).

Lavoro come insegnante a Ferrara nella scuola pubblica e tengo periodicamente dei laboratori teatrali.

Ho collaborato come coautore alla stesura di testi allestiti a Bologna e Castel San Pietro Terme  e sono stato assistente volontario  alla drammaturgia di  alcuni corsi teatrali tenuti da Cristiano Falaschi all'Arena del Sole di Bologna.

Come "autore unico" sono stato rappresentato, dopo circa otto anni di relativa inattività, nel 2020, dal Nuovo Teatro San Paolo in Roma che ha allestito il testo "L'attesa".  

Da qualche tempo scrivo anche narrativa e da marzo 2023 ho depositato in SIAE lo pseudonimo elleAlter.

Leggo molto e in modo totalmente anarchico, lasciando che un romanzo sia la via di transito per un saggio e che esso lo sia a sua volta per un testo teatrale. 

Non scrivo per intrattenere, ma piuttosto per coinvolgere e principalmente per esprimermi. Pur avendo le idee chiare su ciò che mi interessa, rinuncio a definire qui la mia scrittura, cercando in questo modo di non indulgere su me stesso più di quanto faccia chi mi giudica, fermi i fatti che in Italia è forse difficile distinguere un nuovo autore teatrale da un autore nuovo e che autoreferenzialità e contemporaneità sono spesso concetti molto vicini (penso ad esempio a quanto si legge in saggi come "La realtà inventata" a cura di Watzlawick o "L'arte del romanzo" di Milan Kundera).  Non sono ossessionato dall'idea di emergere più di quanto possa essere avvenuto negli ultimi anni, ma, al contempo, di questa mia scrittura cerco riscontri attraverso premi e concorsi perché credo che questi costituiscano un metodo "democratico"  per essere letto da persone competenti; al di là delle dinamiche delle selezioni (a cui mi disinteresso con serena pacatezza), questo mi sembra un modo garbato di farmi avanti, a dispetto dell'enorme quantità di contenuti che, a ragione, tutti gli aspiranti autori producono. 

Premi: 

Premio "Miglior scrittura drammaturgica" al concorso "La riviera dei monologhi 2018".

Motivazione: "Il testo 'L'attesa' di Luca Aiello dimostra una scrittura sapiente e innovativa con un solido background culturale destinata ad essere segno distintivo di uno stile e precedente per una interessante drammaturgia contemporanea." 

Concorso "Belli lunghi" indetto dal Nuovo Teatro San Paolo.

A luglio 2019 il testo "L'attesa" supera una prima selezione tra 400 testi teatrali rientrando tra i primi 20.

A settembre 2019 il testo viene proclamato vincitore e viene rappresentato nella stagione teatrale 19-20 del "Nuovo Teatro San Paolo".

Premio Tragos  "Ernesto Calindri" 19/20.

A settembre 2019 il testo "L'attesa" nella categoria "Atti unici" e il monologo "Dopo centottanta ore" nella sezione "Drammaturgia - Teatro donna", sono entrambi semifinalisti. 

Bando "Belli chiusi".

A maggio 2020 il monologo "OGM" è semifinalista del bando "Belli chiusi" indetto dal Nuovo Teatro San Paolo in Roma. 

 A giugno 2020 il monologo "OGM" è finalista del bando "Belli chiusi" indetto dal Nuovo Teatro San Paolo in Roma.

Concorso Tragos, Concorso Europeo di Drammaturgia 20/21.

A marzo 2021 il testo teatrale "L'evasione" viene selezionato tra i testi semifinalisti per la categoria "Drammaturgia - Autore contemporaneo"

 

A margine di tutto questo, di questa pacata esposizione sulle basi della mia professionalità (di certo tanto pacata da insinuare in chiunque il dubbio che io non sia affatto il professionista che dichiaro di essere), mi restano da dire due o tre cose in maniera più informale.

Fino ad oggi, (perdonate, i cinquant’anni incombono), ho fatto tantissime cose divertenti… ho svuotato container incredibilmente sporchi provenienti dall’estremo oriente mentre severi chimici bolognesi criticavano il mio linguaggio gergale da emigrante appena sbarcato (e poi chiosavano “valà questi portali lì dai cassonetti”). Ho vissuto con artisti veri che dipingevano meravigliosi “falli-pistole” su tele di 16 metri x 2,5 in stanze in affitto piccole come sgabuzzini (e che poi sono diventati importanti discografici). Ho lavorato in ristoranti quotati e in osterie storiche, (servendo tigelle a cantanti di tormentoni pop felsinei), quindi in autolavaggi dal servizio a mano (anche in febbraio) e in decine di altri posti, dai villaggi turistici alle pizzerie della Bolognina, dove i partigiani a cui consegnavi le pizze ti facevano sedere e ti offrivano da bere. Mi sono, a volte, innamorato di attrici che si sono rivelate veri esseri umani, e altre volte di esseri umani che si sono poi dimostrati poco più che attrici. Ho amato (perché  "dovevo amarle") ragazze sandwich che hanno ribaltato la loro vita per vivere follie che hanno spostato due generazioni. Ho ospitato in casa senzatetto e ho vissuto con amiche fantastiche che oggi vivono di poesia e di sabbia. Ho suonato e cantato, sotto la doccia e nei locali, sfiorando qualche volta una maggiore affermazione di quella che oggi mi viene riconosciuta. Ho coltivato amicizie con batteristi di impostazione jazz che sono diventati affermati filosofi, e conosciuto indimenticabili studenti di belle arti che mi hanno introdotto alle meraviglie della “arte-vita”. Gli scontrini delle loro tele incollati su di esse (la loro opera appunto l’atto di comprare le tele), mi sono rimasti dentro, per metà buffi e per metà inquietanti, come il monito: “sono gli altri a dirti se sei o meno un artista, ma tu non puoi che credere nella tua arte seppure gli altri neanche sanno che esisti”.

In questo paradosso c’è certamente qualcosa di sfuggente e tristemente strumentalizzabile.

Molti “protetti” che scrivono di mestiere, spesso solo per tenere il mestiere, dovrebbero chiedersi con sincerità e più di frequente “cosa c’è là fuori?”. Nel senso, assolutamente, di “quali vite da cui possano discendere storie. E quali storie”.

Personalmente io non direi nulla se a questo punto qualcuno borbottasse tra sé una cazzata come “ecco un altro laureato all’università della vita…”.  Non direi nulla perché è una frase stupida e qualunquista, di un qualcuno che forse non ha vissuto alcunché e ancor peggio che probabilmente ha compreso (“preso con sé”) poco o nulla di ciò che ha letto.

A tal proposito… se proprio vogliamo giudicare e dato che il giudizio è sempre “pericolosamente reciproco”, in quanti oggi si chiedono se sia davvero cultura quella propugnata da una industria culturale pura e semplice?

Per me è cultura una sapienza per modelli cognitivi (ancora in continua osmosi arte-vita), modelli  utili e vitali, da qualunque parte essi discendano, la vita, la letteratura, i traumi, l'amore, la musica...

Gaber diceva “qualunque cosa tu sappia fare, usala”.

A questo proposito… io scrivo da sempre e anzi, non ho un ricordo che non sia legato a una pagina scritta.

Ho avuto la fortuna di avere l’amicizia di lettori straordinari, abili anche nel leggere l’animo umano, secondi padri dalla cultura sterminata che sanno quando abbracciarti e quando farti una semplice domanda.

Ho conosciuto diversi scrittori (scrittor*), e autori teatrali, e almeno di uno sono stato e sono, spero a prescindere da quanto spesso ci vediamo, profondamente amico.

Alcuni di essi sono ed erano “grandissimi” (a proposito di “successo”).

La costante, in tutti “i grandi” (qualunque cosa significhi), era il desiderio di capire l’altro e mai di usarlo come metro di misura della propria “grandezza”.

Potersi permettere questo lusso (realmente “esclusivo”) comprende l’enorme differenza tra il “fare lo scrittore” e lo scrivere, o, se vogliamo, l’essere uno scrittore.

In questo io credo fermamente. Voi cosa ne pensate?  

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Puoi leggere il testo teatrale “L’attesa”  qui.

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