La risposta fondamentale al problema dell'immigrazione è 42? Certamente no, ma esattamente come nel romanzo in cui appare questa risposta, il difficile è capire quale sia davvero la domanda. E cioè, la domanda "fondamentale" è
1): "come si impedisce a questi disperati di venire qui a "minare il nostro benessere" (questo il sottinteso di molta propaganda), oppure, forse la domanda è:
2) "come si impedisce - con forme coercitive, come i lager libici e a prescindere dalle motivazioni - che i disperati partano"? (Poi quel che è peggio, sempre glissando sui propri valori "di sinistra", o sull'utilità della migrazione nel solito plagio elettorale).
Nessuno dice chiaramente che la domanda dovrebbe invece essere:
3)"come si mitigano le condizioni che spingono queste persone a partire?".
 
I nostri rappresentanti, tutti, intenti solo a parlare alla pancia degli elettori, di ieri e soprattutto di domani, lasciano coscientemente inquadrare la questione solo alla luce della strategia implicita nella "domanda 1" o al massimo (giocando al ribasso) in riferimento alla "numero 2". Il problema, quindi, non è mai l'immigrazione, ma come usarla machiavellicamente senza poi farci una figura di merda, o come fare a trasformarla in un motivo di consenso in tempi di vacche magre. Magari fallirebbero lo stesso, ma se volessero davvero dare delle risposte sul "problema fondamentale delle migrazioni" si parlerebbe:
1) di far riconoscere in sede ONU e UE la condizione dei profughi climatici (oggi non riconosciuti) e con quali regole internazionali andrebbero aiutati;
2) di portare in sede internazionale dei protocolli civili di uscita dagli eventi di guerra innescati e destabilizzanti (discutere del perché sia legittimo e normale andarsene dall'Afganistan da un giorno all'altro e di come prevenire in futuro i contraccolpi in situazioni simili);
3) accelerare con cooperazioni internazionali sull'energia da fusione nucleare o comunque accelerare sulle rinnovabili;
4) Se volessero davvero dire qualcosa, dovrebbero parlare e stilare convenzioni di microcredito, anche nei paesi dai governi più autoritari, premiando gli atteggiamenti via via più democratici, o addirittura sottoscrivendo trattati economici (anche a vantaggio dell'occidente) che esigano forme di ridistribuzione della ricchezza. (La politica invece delega questa prerogativa alle imprese, che pagano i bambini del Congo 3 dollari al giorno per raccogliere il coltar dei nostri telefonini).
5) L'introduzione di fondi di risarcimento per i danni da cambiamento climatico.
6) Il computo di responsabilità dell'occidente (e quindi di moratorie) nelle guerre "lontane" in cui "è stato lecito" (o convienente) appoggiare di volta in volta una fazione o l'altra.
7) Discutere in sede di trattati degli odiosi diritti di veto di alcune nazioni nelle grandi organizzazioni...
Qualsiasi ragionamento nel merito del problema, sarebbe un po' più di "42". Ma se l'urgenza è solo quella di tranquillizzare gli elettori o scaricare il barile su chi faccia (o abbia fatto) meglio e chi abbia fatto peggio, (mentre i giornalisti confezionano il derby del momento), possiamo ben capire la "statura" di (tutti) i nostri statisti: la destra sarà l'inetta più eclatante (del momento, specie per la nauseante campagna elettorale) , ma anche una sinistra che balbetta di fronte all'accusa "voi volete accogliere tutti", è ferma alle prime due domande, alle semplici preoccupazioni sulla propria sopravvivenza. Parlassero di questa complessità alla gente, invece di evocarla soltanto, lo facessero in modo semplice, pian piano la gente capirebbe e sosterrebbe non una fazione, ma delle idee. Magari resteremmo qui arroccati, forti di piccoli e grandi privilegi, ma almeno cadrebbe questo velo di ipocrisia. Invece, dopotutto, semplicemente ci confermiamo incapaci di pensare a noi stessi come specie e, alla gente che non si pone troppe domande, è concessa solo la libertà di schierarsi. Tutti al voto tra sei mesi, poi ricomincia lo show...

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